Discorso del Santo Padre
Traduzione in lingua inglese
Questa mattina il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Membri della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti nel corso dell’Udienza:
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Sono lieto di dare il benvenuto a tutti voi, in particolare ai nuovi membri della Commissione, come pure a coloro che stanno continuando il loro servizio e al gruppo dei collaboratori provenienti da tutto il mondo, che rappresentano una nuova e gradita aggiunta.
Questo è il nostro primo incontro, da quando siete stati istituiti presso il Dicastero per la Dottrina della Fede, e vorrei fornirvi alcune indicazioni. I semi gettati circa dieci anni fa, quando il Consiglio dei Cardinali ha raccomandato la creazione di questo organismo, stanno crescendo, lo vediamo. Perciò, proprio per affrontare le sfide attuali con saggezza e coraggio, è importante fermarci un momento a riflettere sul passato. Negli ultimi dieci anni abbiamo tutti imparato molto, me compreso!
L’abuso sessuale di minori da parte del clero e la sua cattiva gestione da parte dei leader ecclesiastici sono stati una delle sfide più grandi per la Chiesa del nostro tempo. Molti di voi hanno impegnato la propria vita in questa causa. Le guerre, la fame e l’indifferenza verso la sofferenza altrui sono realtà terribili del nostro mondo, sono realtà che gridano al Cielo. La crisi degli abusi sessuali, però, è particolarmente grave per la Chiesa, perché mina la sua capacità di abbracciare in pienezza la presenza liberatrice di Dio e di esserne testimone. L’incapacità di agire correttamente per fermare questo male e di venire in aiuto alle sue vittime ha deturpato la nostra stessa testimonianza dell’amore di Dio. Nel Confiteor noi chiediamo perdono non solo per i torti commessi, ma anche per il bene che non abbiamo fatto. Può essere facile dimenticare i peccati di omissione, perché in un certo senso sembrano meno reali; ma essi sono molto concreti e feriscono la comunità quanto gli altri, se non di più.
Non aver fatto ciò che avremmo dovuto, soprattutto da parte dei leader della Chiesa, ha scandalizzato molti, e negli ultimi anni la consapevolezza di questo problema si è estesa a tutta la Comunità cristiana. Allo stesso tempo, però, non siamo rimasti in silenzio o inattivi. Recentemente ho confermato il Motu Proprio Vos estis lux mundi (VELM), che ora è un regolamento permanente. In esso, in particolare, si sollecita la predisposizione di luoghi per l’accoglienza delle accuse e la cura di coloro che dicono di essere stati danneggiati (cfr art. 2). Sicuramente ci sono miglioramenti che vi si possono apportare sulla base dell’esperienza, con le Conferenze Episcopali e i singoli Vescovi.
Oggi nessuno può dire onestamente di non essere toccato dalla realtà degli abusi sessuali nella Chiesa. Perciò nel vostro lavoro, mentre affrontate le molte sfaccettature di questo problema, vorrei che teneste a mente i tre principi che seguono, considerandoli come parte di una spiritualità di riparazione.
1. In primo luogo, laddove la vita è stata ferita, siamo chiamati a ricordare il potere creativo di Dio di far emergere la speranza dalla disperazione e la vita dalla morte. Il terribile senso di perdita provato da tanti a causa degli abusi può sembrare a volte troppo pesante da sopportare. Anche i leader della Chiesa, che condividono un comune senso di vergogna per l’incapacità di agire, sono stati sminuiti, e la nostra stessa capacità di predicare il Vangelo è stata ferita. Ma il Signore, che in ogni tempo fa nascere cose nuove, può ridare vita alle ossa inaridite (cfr Ez 37,6). Perciò anche quando il cammino da percorrere è arduo e faticoso, vi esorto a non bloccarvi, a continuare a tendere la mano, a cercare di infondere fiducia in coloro che incontrate e che condividono con voi questa causa comune. Non scoraggiatevi quando sembra che poco stia cambiando in meglio. Perseverate, andate avanti!
2. In secondo luogo, l’abuso sessuale ha portato lacerazioni nel nostro mondo e non solo nella Chiesa. Tante vittime rimangono avvilite per il fatto che un abuso avvenuto molti anni fa crea ancora oggi ostacoli e spaccature nelle loro vite. Le conseguenze degli abusi possono verificarsi tra coniugi, tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle, tra amici e colleghi. Le comunità sono sconvolte; la natura insidiosa dell’abuso abbatte e divide le persone, nel loro cuore e tra di loro.
Ma la nostra vita non è destinata a rimanere divisa. Ciò che si è infranto non deve rimanere a pezzi. La creazione ci dice che tutte le parti della nostra esistenza sono collegate in modo coerente, e la vita di fede collega addirittura questo mondo con quello che verrà! Tutto è collegato. Il mandato ricevuto da Gesù da parte del Padre è che di tutto ciò nulla e nessuno vada perduto (cfr Gv 6,39). Laddove dunque la vita si è spezzata, vi chiedo di contribuire concretamente a ricongiungerne i pezzi, nella speranza che quanto è frantumato si possa ricomporre.
Di recente ho incontrato un gruppo di sopravvissuti da abusi, che hanno chiesto di incontrare la direzione dell’istituto religioso che gestiva la scuola da loro frequentata circa 50 anni fa. Ne parlo perché loro l’hanno riferito apertamente. Erano tutte persone anziane e alcune di loro, consapevoli dello scorrere veloce del tempo, hanno espresso il desiderio di vivere in pace gli ultimi anni della vita. E la pace, per loro, significava riprendere la relazione con la Chiesa che li aveva offesi, volevano chiudere non solo con il male subito, ma anche con le domande che da allora portavano dentro di sé. Volevano essere ascoltati, creduti, volevano qualcuno che li aiutasse a capire. Abbiamo parlato insieme e hanno avuto il coraggio di aprirsi. In particolare, la figlia di uno degli abusati ha parlato dell’impatto che l’esperienza del padre ha avuto su tutta la loro famiglia. Riparare i tessuti lacerati della storia è un atto redentivo, è l’atto del Servo sofferente, che non ha evitato il dolore, ma ha preso su di sé ogni colpa (cfr Is 53,1-14). Questa è la via della riparazione e della redenzione: la via della croce di Cristo. Nel caso specifico, posso dire che per questi sopravvissuti c’è stato un vero dialogo durante gli incontri, al termine dei quali hanno detto di essersi sentiti accolti da fratelli e di aver recuperato un senso di speranza per il futuro.
3. In terzo luogo vi esorto a coltivare in voi il rispetto e la gentilezza di Dio. La poetessa e attivista nordamericana Maya Angelou ha scritto: «Ho imparato che la gente dimenticherà quello che hai detto, la gente dimenticherà quello che hai fatto, ma la gente non dimenticherà mai come l’hai fatta sentire». Siate dunque delicati nel vostro agire, sopportando gli uni i pesi degli altri (cfr Gal 6,1-2), senza lamentarvi, ma pensando che questo momento di riparazione per la Chiesa lascerà il posto a un altro momento della storia della salvezza. Il Dio vivente non ha esaurito la sua riserva di grazie e di benedizioni! Non dimentichiamo che le piaghe della Passione sono rimaste nel corpo del Signore Risorto, non più però come fonte di sofferenza o di vergogna, ma come segni di misericordia e di trasformazione.
Ora è il momento di rimediare al danno fatto alle generazioni che ci hanno preceduto e a coloro che continuano a soffrire. Questa stagione pasquale è segno che si prepara per noi un nuovo tempo, una nuova primavera fecondata dal lavoro e dalle lacrime condivisi con chi ha patito. Per questo è importante che non smettiamo mai di andare avanti.
Voi impegnate le vostre capacità e la vostra competenza per contribuire a riparare una terribile piaga della Chiesa, mettendovi a servizio delle diverse Chiese particolari. Dalla vita ordinaria di una diocesi nelle sue parrocchie e nel suo seminario, alla formazione dei catechisti, degli insegnanti e di altri operatori pastorali, l’importanza della tutela dei minori e delle persone fragili dev’essere una norma per tutti; e in questo senso, nella vita religiosa e apostolica, la novizia di clausura deve attenersi agli stessi standard ministeriali del fratello anziano che ha passato una vita intera a insegnare ai giovani.
I principi del rispetto della dignità di tutti, della buona condotta e di uno stile di vita sano devono diventare una norma universale, indipendentemente dalla cultura e dalla situazione economica e sociale delle persone. Tutti i ministri della Chiesa devono mostrarli nel servire i fedeli, e a loro volta devono essere trattati con rispetto e dignità da chi guida la comunità. Del resto, una cultura della tutela avrà luogo solo se ci sarà una conversione pastorale in tal senso tra i suoi leader.
Sono stato incoraggiato dai piani che avete approntato per affrontare le disuguaglianze all’interno della Chiesa, in termini di formazione e di servizio alle vittime, in Africa, Asia e America Latina. Non è giusto, infatti, che le aree più prospere del pianeta possano contare su programmi di tutela ben formati e ben finanziati, in cui le vittime e le loro famiglie sono rispettate, mentre coloro che vivono in altre parti del mondo soffrono in silenzio, magari respinti o stigmatizzati quando cercano di farsi avanti per raccontare gli abusi subiti. Anche in quest’ambito, la Chiesa deve sforzarsi di diventare un esempio di accoglienza e di buon modo di agire.
L’impegno per migliorare le linee guida e gli standard di comportamento del clero e dei religiosi deve continuare. Mi aspetto di ricevere informazioni su questo impegno e un rapporto annuale su ciò che ritenete stia funzionando bene e su ciò che non funziona, in modo da poter apportare le opportune modifiche.
L’anno scorso vi ho esortato a condividere le vostre competenze sui vari modi in cui pensate che il lavoro della Curia Romana possa influire sulla protezione dei minori, per arricchirvi a vicenda in questo vostro nuovo ruolo. Ho appreso con piacere dell’accordo di cooperazione che avete stipulato con il Dicastero per l’Evangelizzazione, soprattutto in considerazione del suo vasto raggio d’azione in molti dei luoghi più dimenticati del mondo.
Avete già fatto molto in questi primi sei mesi. Vi benedico di cuore. Sappiate che sono vicino al vostro lavoro e non dimenticate di pregare per me. Io lo farò per voi.
[00738-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua inglese
Dear brothers and sisters, good morning!
I am pleased to welcome all of you, particularly the new members of the Commission, as well as those continuing their service and the group of associates from around the world, who are a new and welcome addition.
This is our first meeting since you were formally established within the Dicastery for the Doctrine of the Faith, and I would like to provide you with some suggestions. The seeds sown some ten years ago, when the Council of Cardinals recommended the creation of this body, are bearing fruit, as we can see. In order to face today’s challenges with wisdom and courage, it is important to pause for a moment and reflect on the past. Over the last decade, we have all learned a great deal, myself included!
The sexual abuse of minors by clergy and its poor handling by Church leaders has been one of the greatest challenges for the Church in our time. Many of you have committed your lives to this cause. War, hunger and indifference to the suffering of others are terrible problems in our world, and they cry out to heaven. Yet the sexual abuse crisis is particularly serious for the Church, because it undermines her ability to fully embrace and bear witness to God’s liberating presence. The failure to act properly to halt this evil and to assist its victims has sullied our witness to God’s love. In the Confiteor, we ask forgiveness not only for the wrong we have done, but also for the good we have failed to do. It can be easy to forget sins of omission, for in a way they seem less real; yet in fact they are very real, and they hurt the community as much as others, if not more so.
The failure, especially on the part of the Church’s leaders, to do what we should have done, has been a cause of scandal for many; in recent years, awareness of this problem has spread to the entire Christian community. Yet, at the same time, we have not remained silent or inactive. Recently, I confirmed the Motu Proprio Vos Estis Lux Mundi (VELM), which is now permanently in place. The Motu Proprio calls, in particular, for setting aside places for receiving accusations and caring for those who report that they have been harmed (cf. Art. 2). To be sure, improvements can be made on the basis of experience, by Episcopal Conferences and individual bishops.
No one today can honestly claim to be unaffected by the reality of sexual abuse in the Church. In your work of addressing this multi-faceted issue, I would ask you to bear in mind the following three principles and to consider them as part of a spirituality of reparation.
1. First, where harm was done to people’s lives, we are called to keep in mind God’s creative power to make hope emerge from despair and life from death. The terrible sense of loss that many experience as a result of abuse can sometimes seem a burden too heavy to bear. Church leaders, who share a sense of shame for their failure to act, have suffered a loss of credibility, and our very ability to preach the Gospel has been damaged. Yet the Lord, who brings about new birth in every age, can restore life to dry bones (cf. Ezek 37:6). Even when the path forward is difficult and demanding, I urge you not to get bogged down; keep reaching out, keep trying to instil confidence in those you meet and who share with you this common cause. Do not grow discouraged when it seems that little is changing for the better. Persevere and keep moving forwards!
2. Secondly, sexual abuse has opened many wounds in our world, not only in the Church. Many victims continue to suffer the effects of abuse that took place years ago, yet continues to be an obstacle and a source of brokenness in their lives. The consequences of abuse make themselves felt in relationships between spouses, parents and children, brothers and sisters, friends and colleagues. Communities are traumatized; the insidious nature of abuse creates devastation and division in people’s hearts and their relationships.
Yet our lives are not meant to remain divided. What is broken must not stay broken. From the world of nature, we learn that every part of our lives is interconnected, and the life of faith connects this world with the world to come. Everything is interconnected. The mission Jesus received from his Father is to ensure that nothing and no one is lost (cf. Jn 6:39). Where life is broken, then, I ask you to help put pieces back together, in the hope that what is broken can be repaired.
Recently I met with a group of survivors of abuse, who had asked to meet with the leadership of the religious institute that ran the school they attended around fifty years ago. I mention this because they discussed it openly. All of them were elderly and some of them, realizing that time is passing quickly, expressed their wish to live out their remaining years in peace. For them, peace meant resuming their relationship with the Church that had hurt them. They wanted closure not only for the evil they had suffered, but also for the questions that had haunted them ever since. They wanted to be heard and believed; they wanted someone to help them to understand. We talked together and they had the courage to open up. In particular, the daughter of one of them spoke of the impact of her father’s experience on their entire family. Mending the torn fabric of past experience is a redemptive act, the act of the suffering Servant, who did not avoid pain, but took upon himself the iniquity of us all (cf. Is 53:1-14). This is the path of healing and redemption: the path of Christ’s cross. In that specific case, I can say that for these survivors there was a real dialogue during those meetings, at the end of which they said they felt welcomed like brothers and sisters, and regained a sense of hope for the future.
3. Third, I encourage you to cultivate an approach that mirrors the respect and kindness of God himself. The American poet and activist Maya Angelou once wrote: “I’ve learned that people will forget what you said, people will forget what you did, but people will never forget how you made them feel”. So be gentle in your actions, bearing one another’s burdens (cf. Gal 6:1-2), without complaining, but considering that this moment of reparation for the Church will give way to a further moment in the history of salvation. The living God has not exhausted his sources of grace and blessing! Let us not forget that the wounds of the Passion remained on the body of the risen Christ, no longer as a source of suffering or shame, but as signs of mercy and transformation.
Now is the time to repair the damage done to previous generations and to those who continue to suffer. This Easter season is a sign that a new time is being prepared for us, a new springtime, made fruitful by the work and tears we share with those who have suffered. That is why it is important that we never stop pressing ahead.
You are using your skills and expertise to help repair a terrible scourge in the Church by working to assist the various particular Churches. From the ordinary life of a diocese in its parishes and seminary, to the training of catechists, teachers and other pastoral workers, the importance of safeguarding minors and vulnerable persons must be the rule for everyone. In this regard, in religious and apostolic life, even cloistered novices must adhere to the same ministerial standards as their elderly brothers and sisters who spent a lifetime teaching the young.
The principles of respect for the dignity of all, for right conduct and a sound way of life must become a universal rule, independent of people’s culture or economic and social condition. All the Church’s ministers must respect this rule in the way they serve the faithful, and they in turn must be treated with respect and dignity by those who lead the community. Indeed, a culture of safeguarding will only take root if there is a pastoral conversion in this regard among the Church’s leaders.
I am encouraged by your plans for addressing inequalities within the Church through training programmes and assistance to victims, in Africa, Asia and Latin America. It is not right that the most prosperous areas of the world should have well-trained and well-funded safeguarding programmes, where victims and their families are respected, while in other parts of the world they suffer in silence, perhaps rejected or stigmatized when they try to come forward to tell of the abuse they have suffered. Here too, the Church must seek to be a model of acceptance and good practice.
Efforts to improve guidelines and standards for the conduct of clergy and religious must continue. I ask you to keep me informed of these efforts, and to offer an annual report on what you consider to be working well or otherwise, so that appropriate changes can be made.
Last year I encouraged you to share your expertise on the various ways in which you believe the work of the Roman Curia can help in the protection of minors, as a source of reciprocal enrichment in your new role. I was pleased to learn of your cooperation agreement with the Dicastery for Evangelization, given its vast outreach to many of the world’s most distant areas.
You have already done much in these first six months. I bless you from my heart. Know that I am close to your work; and please, remember to pray for me, as I will for you.
[00738-EN.01] [Original text: Italian]
[B0336-XX.02]